Home> Pubblicazioni>Storia Economica e Sociale di Bergamo>Volume 5 - Il decollo industriale

Il decollo industriale

Il decollo industriale
VERA ZAMAGNI

Il decollo industriale




È ormai un risultato acquisito dalla letteratura storico-economica più recente, cui ha contribuito autorevolmente Pollard, che lo sviluppo industriale è, almeno nelle sue fasi costitutive, un fenomeno « regionale» - per regione intendendosi un’area economica coesa nelle iniziative produttive, nelle risorse e nell’organizzazione istituzionale. Alla luce di ciò, la produzione di storia locale può assumere una valenza che oltrepassa il mero descrittivismo, purché si scelga un’area che rappresenti una unità di indagine significativa e se ne colgano i legami con le aree limitrofe e con il contesto nazionale e internazionale in cui essa si trova inserita. La tradizione cittadina di molte regioni settentrionali italiane, che risale in certi casi anche a prima dell’impero romano, ma quasi dappertutto almeno al Medioevo, fa sì che la scelta di studiare una città e il suo hinterland garantisca proprio tale unità di indagine significativa. In questo secondo tomo dei tre che compongono il volume sull’età contemporanea della Storia economica e sociale di Bergamo, viene appunto illustrato il processo di industrializzazione dell’area. La scelta espositiva operata suddivide la materia non tanto cronologicamente, ma piuttosto per settore, con l’obiettivo di considerare l’intero periodo come un unicum, un periodo, cioè, in cui si è realizzato un processo unitario, ossia il decollo industriale della provincia, avvenuto con continuità in mezzo a vicende nazionali e internazionali che imprimevano sollecitazioni di varia intensità e natura al tessuto economico e sociale locale. Proprio queste vicende sono responsabili di un protrarsi nel tempo della fase di decollo, nell’Italia tutta e, come vedremo, ancor più nella provincia di Bergamo, che può sembrare inusuale.
Dalla manifattura rurale all’industria
PIERO BOLCHINI

Dalla manifattura rurale all’industria




La ricerca ricostruisce inizialmente i criteri localizzativi e i caratteri della manifattura, prevalentemente rurale, a Bergamo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Autori contemporanei ne ascrivevano le tradizioni secolari alla scarsità di risorse agricole in rapporto alla popolazione e, dunque, al flusso di esportazioni, specie del settore tessile, per bilanciare le importazioni alimentari. Nei decenni successivi si posero in evidenza le difficoltà crescenti di tale sistema determinate dalla concorrenza estera, dall’avvento delle ferrovie che aveva dirottato le correnti di traffico, e da una serie di eventi, come l’epidemia della pebrina o della crittogama, che attraverso l’agricoltura minacciavano gli equilibri dell’economia bergamasca. I primi a reagire a questa sfida furono alcuni imprenditori dei settori tradizionali con l’ammodernamento tecnologico e la ricerca di nuovi mercati; successivamente, giunsero dalla Svizzera e da altre provincie lombarde industriali tessili del settore cotoniero; infine, ad ampliare la base produttiva si costituirono nuovi comparti, dall’industria del cemento a quella tipografica, soprattutto a opera di imprenditori locali. Complementare a questo ammodernamento della produzione risultò lo sforzo collettivo di imprenditori, istituzioni, personalità della cultura, che si raccolsero attorno alla Camera di commercio e riuscirono a dare soluzioni al fabbisogno di infrastrutture, attività terziarie, servizi. A cavallo del nuovo secolo si evidenzia il superamento della manifattura rurale e la formazione di una base industriale.
Un secolo di industria (1881-1981)
MICHELANGELO VASTA

Un secolo di industria (1881-1981)




Il saggio ricostruisce l’evoluzione quantitativa dell’industria bergamasca durante un arco di tempo di cento anni, utilizzando in modo combinato i dati forniti dai censimenti industriali e quelli provenienti da rilevazioni più frammentarie. La provincia di Bergamo si caratterizza come un first comer nel panorama industriale italiano, che fonda il suo precoce sviluppo sul settore tessile e specialmente su quello serico. L’eccessiva dipendenza dal settore tessile espose l’economia provinciale alla forte crisi della fine degli anni Venti, quando, tuttavia, iniziarono a svilupparsi altri settori industriali - il meccanico-siderurgico e il cementiero - divenuti poi i cardini dell’intero sistema produttivo locale. Questo è caratterizzato dalla presenza di alcuni grandi complessi industriali, ma deve il suo dinamismo alle numerose piccole e medie imprese che, specialmente nel periodo del golden age del secondo dopoguerra, seppero specializzarsi in prodotti di nicchia che conquistarono anche mercati esteri. A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta l’economia bergamasca iniziò a risentire dei tipici problemi di una provincia industrializzatasi precocemente e incapace di migliorare sensibilmente le proprie infrastrutture. Ciò nonostante, alla vigilia del processo di ristrutturazione degli anni Ottanta, l’economia bergamasca, era ancora una delle più sviluppate a livello nazionale.
Seta e cotone: due traiettorie industriali divergenti
NICOLA CREPAS

Seta e cotone: due traiettorie industriali divergenti




Le vicende otto e novecentesche dell’industria tessile bergamasca, lungi dal poter essere considerate unitariamente nelle prevalenti attività in campo serico e cotoniero, si situano a un crocevia fondamentale nel processo di crescita e di sviluppo economico in senso industriale del paese. Le traiettorie imprenditoriali allora perseguite, il volume di capitali messi in gioco, le relazioni commerciali poste in essere accompagnarono, quando non precorsero, l’affermarsi di quelle radicali modificazioni dell’economia nazionale che avrebbero portato l’Italia a sostenere un ruolo di potenza industriale sulla scena mondiale.
L’industria siderurgica e meccanica (1861-1939)
MAURO GELFI

L’industria siderurgica e meccanica (1861-1939)




Nonostante la grande importanza che, soprattutto a partire dai primi anni del XX secolo, l’industria siderurgica e quella meccanica hanno avuto sul territorio bergamasco, l’impegno della storiografia locale e gli studi monografici sulle singole aziende sono stati assai scarsi. Questa ricerca ha preso in esame l’archivio della Camera di commercio e alcuni archivi aziendali quali quelli della Fervet, della Battaggion e della Dalmine, e si propone di offrire un primo contributo alla conoscenza dello sviluppo industriale nella provincia orobica, approfondendo le linee di sviluppo che possono aiutare a comprendere le caratteristiche proprie della sideromeccanica orobica e il grado di interazione con il territorio e il mercato nazionale.
La grande avventura del cemento (1864-1964)
GIANCARLO SUBBRERO

La grande avventura del cemento (1864-1964)




La storia dell’Italcementi - Impresa leader nella produzione del cemento in Italia - è non solo la storia di una grande impresa con origini bergamasche e con profonde radici nel territorio, ma si identifica in gran parte con la storia del settore a livello nazionale. L’industria del cemento in Italia nasce verso la fine degli anni Sessanta dell’Ottocento, cresce gradualmente per tutta la seconda metà del secolo e decolla nel primo decennio del Novecento, di pari passo con l’allargamento del mercato e con una prima significativa evoluzione delle tecnologie produttive. Una seconda fase di marcato sviluppo si ha durante gli anni Venti, quando si verifica un vero e proprio salto tecnologico e, superata la grande crisi, nel decennio successivo, con l’autarchia, che valorizza al massimo la produzione di un materiale «nazionale». Nel secondo dopoguerra, l’industria italiana del cemento, di fronte al mercato fornito prima dalla ricostruzione e successivamente dal boom economico, conosce elevati ritmi di crescita, che la portano alla fine degli anni Settanta al primo posto in Europa e al quinto nel mondo. Le vicende dell’Italcementi - costituita nel 1864 a Bergamo da Giuseppe Piccinelli, dal 1906 fusasi con la fratelli Pesenti e da allora controllata dall’omonima famiglia bergamasca - si inseriscono appieno in queste linee evolutive. La secolare crescita dell’impresa si fonda sul continuo aggiornamento tecnologico, sui massicci investimenti effettuati in gran parte facendo leva sull’autofinanziamento, sulla graduale occupazione del mercato nazionale, ottenuta con la costruzione di parecchi impianti produttivi strategicamente localizzati e attraverso l’incorporazione di numerose altre società, sino alla costituzione di un proprio gruppo.
L’industria elettrica tra la fine dell’Ottocento e la nazionalizzazione
ALBERTO BACCINI

L’industria elettrica tra la fine dell’Ottocento e la nazionalizzazione




Il saggio ricostruisce le caratteristiche dell’industria elettrica bergamasca dalla sua nascita alla nazionalizzazione (1962). Nella prima fase del suo sviluppo (1890-1908) le centrali idroelettriche facevano capo principalmente ad autoproduttori, ed erano legate alla conversione dei preesistenti impianti per lo sfruttamento dell’energia idrica. Negli anni 1900-30 si definì nei suoi tratti di medio periodo il sistema idroelettrico della provincia, caratterizzato dalla sopravvivenza di autoproduttori particolarmente efficienti nel cementiero e soprattutto nel tessile. D’altra parte, la definizione precoce del sistema - nato come aggregazione di singole derivazioni - rese difficile riorganizzarlo intorno a grandi bacini; ciò comportò negli anni successivi problemi rilevanti dal punto di vista dell’integrazione in rete, e di un più efficace sfruttamento delle risorse. L’integrazione della provincia nel sistema lombardo avvenne attraverso due processi paralleli: la progressiva attrazione all’interno del gruppo Edison di tutte le centrali esistenti, e la semplificazione della struttura societaria del settore. La data della definitiva integrazione è il settembre 1949, quando la frequenza della rete di distribuzione della provincia fu unificata con quella regionale.
L’industria cartaria e poligrafica (1860-1951)
GIANCARLO SUBBRERO

L’industria cartaria e poligrafica (1860-1951)




All’interno della complessa ed articolata evoluzione della struttura industriale bergamasca nell’ultimo secolo, i settori cartario e poligrafico rivestono senz’altro un peso quantitativamente poco rilevante: nel 1911 gli addetti sono complessivamente il 2,7%, salgono al 3,7% nel 1937 e solo al censimento del 1971 raggiungono il 4,9%. Tuttavia, al di là della relativa consistenza numerica, entrambi i settori vivono nell’arco di cent’anni vicende articolate e parallele: tutti e due, nella seconda metà dell’Ottocento, sono formati da una miriade di minuscole botteghe artigiane; successivamente, a cavallo tra Ottocento e Novecento, da queste botteghe si distaccano due aziende - la cartiera Pigna e l’Istituto italiano d’arti grafiche - che non solo concentrano più della metà degli addetti del proprio settore, ma costituiscono anche una presenza di un certo significato nel panorama nazionale delle industrie cartarie e poligrafiche. Non è possibile in queste poche pagine ripercorrere esaustivamente la storia dei due settori e delle due imprese, anche perché molte fonti esistenti non sono disponibili alla consultazione, ma si proporrà la storia della loro evoluzione nei principali snodi.

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