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Il lungo Cinquecento

Bergamo e la sua economia fra Quattrocento e Seicento
MARCO CATTINI - MARZIO A. ROMANI

Bergamo e la sua economia fra Quattrocento e Seicento




Nelle complesse vicende geopolitiche quattrocentesche che vedono l’aspro scontro tra i due maggiori potentati alto italiani – Milano e Venezia – il territorio bergamasco diviene uno dei principali oggetti del contendere. Divenuta quindi “terra di S. Marco”, Bergamo e la bergamasca vengono profondamente influenzate dalla cultura, dall’economia e dalla politica mercantile veneziana. La Serenissima assicura alla città e al territorio una serie di privilegi economici ma non manca nel contempo di attuare anche nell’area bergamasca la sua politica di accentramento dell’intero sistema economico della Terraferma verso l’emporio veneziano, in teoria unico mercato di approvvigionamento e di spaccio dei prodotti finiti. L’attenta e circostanziata analisi delle fonti documentarie disponibili – in primis del catastico di Giovanni da Lezze – ci rivela l’assetto dell’economia bergamasca articolata complessivamente su tre aree geografiche diversamente organizzate: la città fortemente caratterizzata dall’attività manifatturiera; la pianura eminentemente agricola che funge da granaio per il capoluogo e le sue valli; il territorio montano sovrappopolato e laboriosissimo che esporta ovunque merci, uomini e professionalità.
Finanza e fiscalità nel territorio di Bergamo (1450 – 1630)
LUCIANO PEZZOLO

Finanza e fiscalità nel territorio di Bergamo (1450 – 1630)




Sin dal 1428 il governo veneziano imposta la sua politica verso Bergamo con estrema cautela; il territorio bergamasco è infatti teatro negli anni successivi di scontri e combattimenti tra i soldati di Venezia e le truppe del Ducato di Milano. Questo ruolo strategico rilevante, unito alla endemica scarsità di risorse del territorio e alla oggettiva difficoltà di convogliare totalmente gli scambi dalla periferia estrema della Terraferma verso la laguna, sono alla base di privilegi, esenzioni e benefici tariffari concessi da Venezia a Bergamo e al suo territorio. Tuttavia, come negli altri distretti del Dominio, anche a Bergamo il ceto dirigente veneziano concepisce la propria politica fiscale in funzione esclusiva della capitale. Dazi, gabelle e gravezze costituiscono la complessa e articolata rete di prelievo fiscale a titolo di imposizione diretta e indiretta, il cui carico si distribuisce con disuguaglianza tra i differenti ceti di contribuenti. Nel XVI secolo la posizione di particolare privilegio di Bergamo nei confronti del fisco sembra progressivamente attenuarsi; tuttavia la collocazione strategica ai confini dello Stato produce un cospicuo flusso di denaro dal centro verso la periferia, sotto forma di salari per le guarnigioni di stanza e di spese per le imponenti fortificazioni urbiche.
Le corporazioni a Bergamo in età veneziana
MASSIMO COSTANTINI

Le corporazioni a Bergamo in età veneziana




La pace di Ferrara sancisce l’inserimento di Bergamo nello Stato di S. Marco e pur avvenendo, secondo la tradizionale formula veneziana, le pieno rispetto delle autonomie locali, comporta un sensibile mutamento del quadro politico e sociale della città. Il passaggio alla Serenissima porta in via definitiva all’assoggettamento all’autorità del potere centrale di tutte le componenti politico-sociali, sovente prima divise al loro interno e in aspro vicendevole contrasto; corpi di mestiere, gruppi rionali e famiglie nobiliari devono uniformarsi alle linee di governo delle magistrature cittadine più importanti (podestà e capitano). Lo spazio per un ruolo politico delle corporazioni di mestiere viene risolutamente negato dalle autorità statali e municipali attraverso un rigido esclusivismo nell’esercizio del potere amministrativo. Il numero delle associazioni professionali, prese in considerazione dalle magistrature venete in genere solamente per il prelievo fiscale o il reclutamento di galeotti per la flotta da guerra della Serenissima, oscilla tra il numero di quindici nel 1491 e di trentasei nel 1571, attestandosi intorno a venticinque nel periodo dal 1675 al 1728. L’esiguità delle arti rispecchia fedelmente la peculiarità dell’assetto economico bergamasco, basato su un numero esiguo di «industrie» e sulle tradizionali attività legate alla sussistenza.
Verso l’individualismo agrario. Campagne bergamasche nei sec. XV – XVI
MARCO CATTINI

Verso l’individualismo agrario. Campagne bergamasche nei sec. XV – XVI




Nel Trecento e nel primo Quattrocento a causa di perduranti crisi demografiche e del periodico ricorrere di virulente pestilenze, l’assottigliarsi progressivo della popolazione comporta l’abbandono della coltivazione dei suoli troppo lontani dai centri abitati o così poco fertili da scoraggiare i lunghi e spesso difficoltosi trasferimenti necessari per coltivarli; foreste e boschi, gerbidi e paludi riconquistano gran parte degli spazi che tra XI e XIV secolo generazioni di contadini avevano trasformato, con fatica, in fertili campagne. Verso la metà del XV secolo in Bergamasca, come nel resto d’Europa, si produce tuttavia una decisa inversione di tendenza grazie ad un generale processo di bonifica e di riduzione a coltura. L’opera dell’aristocrazia fondiaria, delle comunità rurali e il crescente controllo delle campagne da parte dei cives pongono le premesse per l’avvento dell’individualismo agrario. Attraverso l’indagine minuziosa delle polizze d’estimo delle comunità di Albino, Brembate di Sopra, Levate e Osio di Sopra si descrive il regime fondiario esistente nelle campagne e si enuclea il mutamento delineatosi gradualmente nel paesaggio agrario bergamasco tra il Quattrocento e il Cinquecento.
Il ceto dirigente tra Bergamo e la Serenissima
GIUSEPPE GULLINO

Il ceto dirigente tra Bergamo e la Serenissima




La Serenissima, pur impostando la sua prassi di governo secondo istanze largamente federaliste e senza venir meno a quella mediocritas ritenuta essenziale nell’esercizio del potere, trova a Bergamo un ceto dominante e una nobiltà divisa e in continua frizione al suo interno. Dopo un difficile tentativo di ricomposizione tra «ghibellini» filoviscontei e «guelfi», fedeli alla Dominante, le autorità marciane devono far fronte all’aspra contrapposizione tra la vecchia nobiltà urbana, protesa a rivendicare un presunto primato sociale fondato sull’ideologia feudale, e l’emergente ceto dei nuovi ricchi che cerca di favorire un profondo incremento dell’economia con un’effervescente attività imprenditoriale. Proprio verso questo emergente ceto sociale, le autorità della Repubblica nutrono un’ideale e naturale fiducia, grazie soprattutto alla comune origine mercantile e al reciproco inesausto attivismo. Venezia, inoltre, ispira la sua condotta nei confronti della città di Bergamo al livello più alto, inviando sempre personale altamente qualificato col fine duplice di accrescere il prestigio di S. Marco e di sostanziare l’idea di una amministrazione competente e del tutto super partes.
L’organizzazione amministrativa del territorio: Venezia e la Bergamasca
IVANA PEDERZANI

L’organizzazione amministrativa del territorio: Venezia e la Bergamasca




I rapporti tra Venezia e la Bergamasca sono caratterizzati, all’inizio dalla conquista militare, dalla concessione di ampie autonomie amministrative e giurisdizionali fatte alla città, ai borghi di pianura e alle federazioni di valle. Tuttavia all’interno di tale quadro istituzionale la Serenissima interviene, ora cautamente ora più risolutamente, sulle formule organizzative del potere locale: si regola la posizione dei cives nel contado, si favorisce la realizzazione di un’ estimo generale per un’equa ripartizione dell’imposizione diretta, si sollecita il consolidamento di organismi rappresentativi rurali questi interventi modificano i rapporti tra centro e periferia ereditati dalla precedente età comunale e quindi signorile costituendo le premesse per i successivi assetti istituzionali, politici ed economici che, attraverso formule spesso assimilabili alle coeve riforme in atto nella Lombardia teresiana, maturano una concezione dello Stato che si impone e viene codificata nell’età franco-napoleonica. La natura dell’assetto statuale veneziano e il mito delle sue «sanctissime leze », cioè il miracoloso e secolare perdurare della sua libertà interna, della sua struttura costituzionale in relazione alla Terraferma, sono analizzate secondo nuove e stimolanti prospettive.
L’altra Bergamo in laguna: la comunità bergamasca a Venezia
ANDREA ZANNINI

L’altra Bergamo in laguna: la comunità bergamasca a Venezia




La comunità bergamasca a Venezia nella sua storia plurisecolare si connota per la consistenza numerica e per l’eccezionale grado di integrazione e successo sociale. Tessitori di seta, di pannilana, corrieri postali e facchini della Dogana del porto sono solo alcuni comparti del mondo produttivo veneziano dove gli immigrati di origine bergamasca sanno ritagliarsi aree privilegiate di impiego in cui, in virtù di particolari meccanismi di trasmissione del posto di lavoro, alimentano la propria presenza inserendo figli e fratelli o chiamando a Venezia dal paese d’origine parenti e compaesani. Si costituisce quindi una piccola società nella società, integrata pienamente nell’assetto economico della laguna ma che mantiene intatti i legami con la terra d’origine e si caratterizza per una forte identità connotata da peculiari stratificazioni sociali, istituzioni assistenziali, reti parentali e di villaggio. Il clichè stereotipato del bergamasco maldicente e imbroglione che, diffuso tra gli altri dal Bandello, si fissa nelle maschere della Commedia dell’Arte, è il significativo e denigratorio travestimento di una comunità sociale invidiata che aveva conseguito, anche grazie a una significativa preparazione scolastica, un ruolo importante nell’assetto economico della città lagunare.
La Compagnia dei Caravana: i facchini bergamaschi del porto di Genova
PAOLA MASSA PIERGIOVANNI

La Compagnia dei Caravana: i facchini bergamaschi del porto di Genova




In diversi porti italiani a partire dal XIV secolo, i bergamaschi risultano inquadrati come facchini: a Pisa la maggior parte proviene da Urgnano mentre a Venezia l’importante Compagnia dei Bastagi operante alla Dogana del porto è formata esclusivamente da bergamaschi. Nella Genova medioevale tra le varie arti esercitate da stranieri si segnale per la sua rigorosa organizzazione interna e per i rilevanti compiti ad essa affidati, proprio la Compagnia dei Caravana, cioè i facchini della Dogana, detti in genovese camalli. Quasi tutti di origine lombarda fino al XVI secolo, dal 1576 si sancisce rigidamente l’obbligo e l’esclusività della provenienza bergamasca. I cognomi dei membri della Compagnia che vengono registrati nei documenti ufficiali sono infatti tutti di sicura origine bergamasca e tra le varie località di provenienza si segnalano soprattutto Brembilla, Dossena, Serina e Zogno in Val Brembana. Organizzata secondo i consueti rigidi canoni corporativi, la Compagnia dei Caravana mantiene sempre un ruolo egemone nell’ambito delle attività portuali genovesi fino al XIX secolo, quando la provenienza delle valli di Bergamo inizia a diventare più un’eccezione che una regola statutariamente sancita.
I mercanti bergamaschi nella città di Napoli nel secolo XVI
ROSALBA RAGOSTA PORTIOLI

I mercanti bergamaschi nella città di Napoli nel secolo XVI




Nel corso del Cinquecento Napoli, capitale del Regno, è una delle più ricche città d’Italia e tra le più importanti d’Europa per traffici, commerci e opportunità economiche. Le sue estese attività commerciali, finanziarie e manifatturiere attraggono in città capitali e mercanti stranieri; in tale contesto, i bergamaschi rappresentano uno dei nuclei d’immigrazione più dinamici e professionalmente specializzati. A Napoli, il settore di gran lunga più florido e sviluppato è quello della lavorazione e del commercio della seta; la presenza di bergamaschi si concentra proprio in tale attività soprattutto nella seconda metà del Cinquecento. Ma se la manifattura serica napoletana gioca un innegabile e determinante ruolo di attrazione per l’immigrazione bergamasca, anche in altri settori si palesa una forte presenza di operatori economici oriundi di Bergamo. Commercio di mercanzie varie, negoziazione di lettere di cambio e attività finanziarie generiche sono altri campi d’interesse dove si distinguono numerosi esponenti delle più antiche e nobili famiglie bergamasche dai Suardi ai Furietti, dai Ficeni ai Noris. Proprio l’attività della famiglia Noris è indicata come paradigmatica dell’attività plurisettoriale della «nazione» bergamasca nella Napoli del secolo XVI.
Bergamo e i suoi mercanti nell’area dell’Adriatico centro meridionale
ALESSANDRA BULGARELLI LUKACS

Bergamo e i suoi mercanti nell’area dell’Adriatico centro meridionale




Il consistente arrivo e lo stanziamento di mercanti bergamaschi nel Regno di Napoli e soprattutto nelle province adriatiche centro meridionali data la metà del XV secolo e si rafforza particolarmente negli anni del Regno di Ferrante d’Aragona (1458-1494), favorito da una politica fortemente tesa allo sviluppo dell’economia e delle attività commerciali. I mercanti di Bergamo si inseriscono nella rete di rapporti privilegiati e di strutture commerciali già saldamente impiantate dalla Serenissima nel Regno di Napoli e la loro presenza si concentra soprattutto nei territori delle grandi fiere adriatiche, snodi principali dei circuiti mercantili e vie privilegiate d’accesso e distribuzione delle merci in tutto il mercato meridionale. Alcune famiglie di mercanti bergamaschi, attraverso una lunga permanenza nel Regno, mostrano di aver attuato un profondo e sostanziale radicamento nel territorio, la cui tappa finale consiste sovente nell’inserimento nelle fila delle élite locali, a suggello di una piena e sostanziale naturalizzazione. I vincoli di gruppo dovuti alla medesima origine restano comunque tenaci e si manifestano anche nella scelta di un luogo – chiesa o cappella – che connoti l’appartenenza alla «nazione» bergamasca e garantisca uno spazio fisico da eleggersi a simbolo di una comune e mai obliata identità.

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