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L'immagine della Bergamasca

Bergamo sotto il manto dogale
ALDO DE MADDALENA

Bergamo sotto il manto dogale


Non si può dire, per la verità, che nel 1428 prenda avvio nella sua pienezza il periodo della dominazione veneta sulla città di Bergamo e sul suo variegato territorio. È pur vero che l’8 maggio di quell’anno il capoluogo è preso in consegna da una triade di provveditori della Serenissima (Paolo Correr, Gerolamo Contarini, Andrea Giuliano) e che appena nominato Rettore veneto qualche settimana dopo, il 4 luglio, accompagnerà in palazzo dogale, «superbissimamente vestiti», otto ambasciatori orobici, seguiti da un nugolo di nobili bergamaschi, per prestare giuramento alla «diletta di San Marco». È pur vero che il disfacimento delle forze ghibelline e la subitanea espulsione dalla città delle famiglie (vedi i Suardi) che non vogliono accettare il dominio di Venezia paiono porre in un canto, per sempre, il progetto, se mai era stato pensato, di fare anche di Bergamo una città-stato. È pur vero che il 30 dicembre del 1427 a Torino erano stati firmati gli arbitramenta che riconoscevano a Venezia il diritto di esprimersi nella Terraferma, e che erano stati convalidati con un trattato di pace stipulato dai contendenti il 19 aprile 1428. Tuttavia bisogna pur convenire che solo con la seconda pace di Ferrara (1433) sarebbe stato riconosciuto giuridicamente in modo definitivo il passaggio di Bergamo (così come quello di Brescia) sotto il dominio della Serenissima.
Bergamo «Terra di San Marco» Processi territoriali nei secoli XV-XVIII
LELIO PAGANI

Bergamo «Terra di San Marco» Processi territoriali nei secoli XV-XVIII




Il passaggio di Bergamo sotto il dominio della Repubblica di Venezia comporta profondi mutamenti di gravitazione geopolitica e produce sensibili effetti nell’organizzazione dei luoghi. Inserito nel nuovo contesto, il territorio bergamasco vede rafforzarsi la funzione e il valore dei suoi confini, specialmente di quelli settentrionali e occidentali verso i Grigioni e lo stato di Milano. A ciò si collega una ristrutturazione dell’assetto difensivo, anche e in particolare della stessa città che è trasformata in fortezza. Alla nuova logica territoriale si accompagna una definizione degli ambiti amministrativi intermedi, della montagna e del piano. La popolazione, numerosa, distribuita fin dentro le valli più interne, alimenta una serie di centri di diversa grandezza che si arricchiscono di particolari interventi architettonici e urbanistici. La lunga fase che va dal 1428 al 1797 si tradurrà in modellamenti, interazioni, riferimenti, che risulteranno fondamentali nella costruzione della personalità dei luoghi e costituiranno un’eredità sulla quale si misureranno le successive logiche territoriali.
«Città sopra monte excellentissime situada»: evoluzione urbana di Bergamo in età veneziana
GRAZIELLA COLMUTO ZANELLA - VANNI ZANELLA

«Città sopra monte excellentissime situada»: evoluzione urbana di Bergamo in età veneziana




Tre secoli di dominazione veneziana portano Bergamo dal medioevo alle soglie dell’età moderna. L’aggregato urbano, arroccato su rilievi e diramato verso il piano, riceve più di un riassestamento, come la nuova definizione del centro e la riorganizzazione funzionale di spazi pubblici e servizi. La posizione strategica di Bergamo, al confine occidentale dei possedimenti di Terraferma, impone nel Cinquecento la trasformazione della città in una fortezza. È così infranta violentemente la continuità organica dell’abitato e la città cerca faticosamente un nuovo assetto, che cristallizza il nucleo antico e favorisce un’evoluzione autonoma dei borghi. Nel Seicento continuano i rinnovi di edifici pubblici e privati, nonché di impianti religiosi. La zona collinare va popolandosi di case di villeggiatura. Nel Settecento l’intraprendenza economica ha il suo impianto rappresentativo nella «fiera di pietra», destinata a prefigurare il cuore della città odierna.
La percezione visiva di Bergamo e della sua gente nella pittura
CHIARA TELLINI PERIN

La percezione visiva di Bergamo e della sua gente nella pittura




Il saggio intende ripercorrere la tradizione figurativa bergamasca dei secoli XVI, XVII e XVIII. L’indagine vuole privilegiare non tanto l’analisi delle varie personalità artistiche operanti nel territorio - così particolare per l’incontro fra tendenze lombarde e presenze venete - quanto il rapporto fra tessuto sociale ed evento figurativo. L’attenzione si affissa soprattutto sulla committenza: laica e religiosa. I filoni tematici cui si applica la riflessione sono i generi: ritratto, natura morta, paesaggio, scena sacra e di genere. Altro criterio di indagine è quello dell’analisi della dinamica fra città e territorio, che rappresenta un caso particolare per la dialettica fra centro e valli. Si ricostruisce in tal modo lo stretto legame fra la società e la sua rappresentazione, confermando il fondamentale riconoscimento, intuito per primo da Roberto Longhi, di un’identità della scuola bergamasca come espressione di «pittura della realtà».
Dalla stagnazione alla crescita: la popolazione di Bergamo dal Cinquecento a Napoleone
CARLO MARCO BELFANTI

Dalla stagnazione alla crescita: la popolazione di Bergamo dal Cinquecento a Napoleone




Nella storia della popolazione di Beramo affiora uno spartiacque fondamentale, collocabile nella prima metà del secolo XVIII. Fino alla fine del Seicento la popolazione di Bergamo conosce un’evoluzione contrastata che non produce crescita. Se i dati in nostro possesso sono verosimili nel 1668 la città conta lo stesso numero di abitanti -circa 20.000- rilevati verso la metà del Cinquecento. Si tratta di una stagnazione di lungo periodo che è il frutto degli effetti di tre fasi evolutive: l’incremento della seconda metà del secolo XVI, sul quale si è poi abbattuta la grave epidemia di peste del 1630, a sua volta seguita da una consistente ripresa. Nella prima metà del Settecento inizia però una fase nuova: è infatti a partire da quell’epoca che prende avvio, senza più brusche interruzioni, la crescita della popolazione di Bergamo. Caratteristica particolare della demografia bergamasca durante il secolo XVIII è la diversa evoluzione riscontrabile nella città alta, da un lato, e nei borghi, dall’altro: l’aumento della popolazione che si verifica nel corso del Settecento riguarda soprattutto i borghi, mentre nella città alta l’incremento risulta modesto.
La popolazione del territorio bergamasco nei secoli XVI-XVIII
FRANCO SABA

La popolazione del territorio bergamasco nei secoli XVI-XVIII




In questo saggio sulla popolazione del territorio bergamasco si è voluto presentare l’andamento complessivo di essa quale risulta nelle cifre rilevabili nelle fonti disponibili: quelle prodotte dai funzionari della Serenissima e quelle redatte dai parroci della diocesi bergamasca. Si è inoltre cercato di individuare il diverso comportamento di quelle popolazioni rispetto alle tipologie dell’abitato, e il diverso peso che nel volgere del tempo assumono le tre partizioni orografiche della montagna, della collina e della pianura. Attraverso lo studio dei registri parrocchiali dei matrimoni, dei battesimi e delle sepolture, e degli Stati delle anime, oltre al movimento demografico delle singole comunità-parrocchie e alle dimensioni che esse presentano in certi momenti del periodo studiato, si è cercato di dare una risposta a una seconda serie di problemi che vanno dalla dimensione della famiglia alla tendenza più o meno diffusa dei figli a restare nella famiglia paterna anche dopo il matrimonio.
I Monti di pietà bergamaschi (secoli XVI-XVIII)
DANIELE MONTANARI

I Monti di pietà bergamaschi (secoli XVI-XVIII)




Nella primavera del 1557 anche Bergamo si dotava di un Monte di credito su pegno. Il ritardo di oltre mezzo secolo rispetto alle maggiori città lombarde è da attribuire con ogni probabilità, all’attiva presenza fra i molti «pia loca» cittadini della Misericordia Maggiore. Con la sua imponente struttura caritativa essa tendeva a coprire l’universo dei problemi sociali dei bergamaschi, dalla sovvenzione alla povertà, rendendo, per certi versi, quasi superflua la fondazione di un Monte dei pegni. La formulazione dei capitoli statutari del nuovo istituto non poteva che mutarne la traccia dal vasto reticolo di coeve presenze in tutta la Lombardia. Dopo alterne vicende, a partire dall’ultimo decennio del Cinquecento la realtà caritativo-creditizia dell’istituto diventò un elemento sempre più efficace nella struttura assistenziale cittadina. Particolarmente evidente nei momenti calamitosi, la sua fattiva presenza nel tessuto economico bergamasco continuò a dispiegarsi per l’intero periodo della dominazione veneta, fino ai «saccheggi rivoluzionari» delle armate napoleoniche.
L’immagine dei bergamaschi nella letteratura veneziana minore del secondo Cinquecento
SYLVIE FAVALIER

L’immagine dei bergamaschi nella letteratura veneziana minore del secondo Cinquecento




Partendo da uno dei più noti personaggi della commedia dell’arte italiana (lo Zanni o l’Arlecchino), si risale, attraverso un corpus di letteratura «popolare» veneziana che sembra aver origine nel XV secolo, allo stereotipo di un bergamasco di umile estrazione sociale di cui si narravano le avventure e disavventure, come pretesto per muovere i lettori (o gli ascoltatori) al riso e allo scherno. La «buna lingua de Berghem» che usa Arlecchino non è in reltà un dialetto bergamasco, ma un idioma letterario artefatto, frutto della fusione fra veneziano e bergamasco di notevole effetto comico. Lo schema del racconto prevede sempre la presenza di un contadino o di un montanaro bergamasco che muovono dalle povere campagne orobiche verso gli splendori della Serenissima. Ricchi solo di un insaziabile appetito, di grande furbizia contadina, di un eloquio rozzo e di rara volgarità, i bergamaschi andranno per il mondo portando il loro lavoro e il loro ingegno e ritornando spesso in patria ricchi, onorati e famosi; ma nell’immaginario collettivo dei veneziani essi impersoneranno sempre l’antieroe ridiculoso celato dietro la maschera di Arlecchino.

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