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Settecento, età del cambiamento

Il secolo del mutamento a Bergamo e nella terra bergamasca
MARCO CATTINI - MARZIO A. ROMANI

Il secolo del mutamento a Bergamo e nella terra bergamasca




Il Settecento è un secolo difficile, ambiguo, in bilico tra antico e moderno. Nella sua prima parte è connotato dal susseguirsi di grandi conflitti che ne scandiscono i tempi secondo l’alternarsi sui troni dei maggiori stati europei di diverse casate reali (guerra di successione spagnola, austriaca e polacca); nella seconda metà, invece, è contraddistinto dall’emergere di processi politici, economici, sociali e culturali destinati a chiudere il sipario sull’Età Moderna – e sulle società d’antico regime – per aprire scenari inediti che vanno sotto i nomi, un po’ abusati, di modernizzazione (ragione, Illuminismo, mercato antagonistico, riforme, individualismo, utilitarismo, decristianizzazione) e di rivoluzione (industriale e francese).
L'agricoltura si rinnova. Si impongono gelso e granoturco
GIANLUIGI DELLA VALENTINA

L'agricoltura si rinnova. Si impongono gelso e granoturco




Nel Settecento l’agricoltura bergamasca cambia volto attraverso un ciclo delineatosi nel tardo Seicento, che raggiunge l’apice nella prima metà del XIX secolo. Fin dal Cinquecento fanno la loro comparsa il granoturco e il gelso, e per due secoli queste colture venute dall’esterno costituiscono il cardine del sistema agricolo. La pianta del gelso porta a uno spostamento del baricentro per cui l’ordinamento colturale non interessa più solo il suolo, ma si colloca verso il soprassuolo. Accanto alle tradizionali coltivazioni alimentari ne fiorisce un’altra tessile legata a un allevamento rivolto al circuito mercantile. Tra ‘600 e ‘700 la storia dell’agricoltura bergamasca entra in una nuova fase: una trasformazione indicata da segni impercettibili nel paesaggio e che dalla seconda metà del ‘700 si afferma con il dominio del gelso e del granoturco. Un binomio che introduce nell’agricoltura una nuova razionalità improntata a una produzione eterocentrata assicurata da colture non legate all’autoconsumo. In un primo tempo il gelso introduce una presenza episodica e disordinata, in seguito viene allineato in filari regolari e arricchisce il paesaggio di un elemento nuovo e ordinato. La coltivazione del gelso e del granoturco apre la strada a uno sfruttamento più intensivo del suolo e porta con sé alcuni cambiamenti nelle forme dell’appoderamento, nella tecnica colturale e nei rapporti contrattuali. L’asse dell’agricoltura si sposta dalla colture alimentari a quelle tessili con profonde ripercussioni sull’economia locale, e determina un quadro innovativo che non coincise però con un vero progresso.
Il lanificio: mercanti e produzione. Dalla crisi finanziaria al libero mercato
WALTER PANCIERA

Il lanificio: mercanti e produzione. Dalla crisi finanziaria al libero mercato




Tra il 1685 e il 1715 le transazioni di panni di lana sulla piazza di Bergamo subiscono una diminuzione del 40% a causa della concorrenza tedesca e delle politiche protezionistiche. Anche la produzione interna risulta penalizzata, soprattutto per la lavorazione dei tessuti di qualità inferiore, e il settore bergamasco è costretto a cercare una strada diversa per riprendere vigore. Alla concorrenza internazionale si aggiunge la lievitazione del saggio medio annuo di interesse. Inoltre, la lunga contesa sul credito contribuisce a sfiancare i lanifici del capoluogo e a dirottare l’attenzione degli operai sulla seta. Nel 1705 in città la tessitura della lana è ridotta a poca cosa, mentre la lavorazione si sposta verso le valli. Il tipo di produzione è molto vario e comprende diciotto tipi diversi di tessuto; tra il 1780 e il 1794 in Val Gandino si producono 46 generi diversi che spaziano per tutte le latitudini e longitudini d’Europa. Nel complesso il settore dimostra una capacità di resistenza: i centri principali della tessitura sono Casnigo, Gandino, Vertova e Lovere. Quanto al rapporto con lo Stato, la lunga diatriba in tema di esenzioni fiscali si conclude alla fine del 1769 con la creazione della Camera del lanificio. Rimosso ogni ostacolo di natura fiscale, il commercio interno può godere di un’effettiva libertà e la grande riforma doganale del 1794 assicura l’estensione di un sistema già operante. Con l’intervento statale nel Settecento si assiste a un ridimensionamento delle prerogative sovrane e della pressione fiscale.
Gli «inutili sforzi per regolar Bergamo» e la crescita del setificio nel Settecento
GIANPIERO FUMI

Gli «inutili sforzi per regolar Bergamo» e la crescita del setificio nel Settecento




Durante il diciottesimo secolo «l’affare della seta» crebbe ancora d’importanza e divenne determinante per gli equilibri economici e finanziari della Bergamasca. L’area si specializzò nella fornitura di semilavorati per le manifatture europee. Mentre la gelsobachicoltura e la trattura della seta impegnavano segmenti sempre più ampi della popolazione contadina, gli imprenditori bergamaschi si proiettavano nelle province confinanti per procacciarsi ulteriori quantitativi di materia prima, da destinare ai grandi impianti di filatura e torcitura che, sempre più numerosi, funzionarono lungo canali e seriole alle porte di Bergamo, in Val Seriana e in Val S. Martino. Per l’intero corso del Settecento il setificio bergamasco riuscì a mantenersi esente dalle prescrizioni tecniche stabilite dalle magistrature veneziane allo scopo di elevare la qualità delle sete della Terraferma. Sebbene l’abilità manuale delle «maestre» rimanesse l’elemento condizionante della fase di trattura, questa andò organizzandosi secondo moduli aziendali di dimensione già apprezzabile. Nella filatura e nella torcitura, poi, la mancanza di prescrizioni pubbliche e la permanenza di un sistema che affidava le sete da incannare a migliaia di lavoratrici a domicilio, remunerate a cottimo, non impedirono a numerosi mercanti-imprenditori orobici di introdurre livelli tecnologici più elevati nei loro “mulini da seta”, beneficiando per questo di consistenti benefici daziari e avvicinandosi così allo standard più avanzato dell’epoca, quello piemontese. Per tale via la posizione dei filati bergamaschi sul mercato internazionale della seta si rafforzò in termini di qualità e di prezzo.
Bergamo e il suo contado: popolazione, economia e territorio
PAOLA SUBACCHI

Bergamo e il suo contado: popolazione, economia e territorio




Nel 1760 Venezia inaugura un’indagine estesa a tutti i territori dello stato per conoscere le dimensioni demografiche. I risultati sono compendiati nei cinque volumi delle «Anagrafi di tutto lo Stato della serenissima repubblica di Venezia», pubblicati sedici anni più tardi. I dati raccolti sono di tipo demografico, economico e assistenziale: le Anagrafi venete costituiscono una fonte di grande importanza per un’analisi della consistenza demografica e delle condizioni economiche e sociali. Il ‘700 costituisce un periodo cruciale nella storia della popolazione: la crescita demografica si manifesta con tendenze diverse su scala nazionale e regionale. In Italia l’espansione della popolazione non raggiunge mai i livelli europei. Nei territori della repubblica veneta la Terraferma mostra un andamento oscillante tra il 1766 e il 1790 e il quadro generale è improntato a una generale stazionarietà. Con Verona e la campagna bresciana, Bergamo e il suo territorio costituiscono un’eccezione e registrano la più elevata variazione nella consistenza demografica di tutta la Repubblica veneta. Negli anni Settanta e Ottanta del XVIII secolo intere famiglie di artigiani, impegnati nel settore tessile, si trasferiscono dal contado e Bergamo, allettati da retribuzioni più elevate e da migliori condizioni di vita. Il contributo maggiore viene dai territori confinanti, in particolare dall’area milanese.
L'exploit dei bergamaschi in Laguna. Colonia numerosa ma estranea al potere
GIUSEPPE GULLINO

L'exploit dei bergamaschi in Laguna. Colonia numerosa ma estranea al potere




Per tutto il XVII secolo i bergamaschi lasciano la loro terra in gran numero. Le cause sono da rintracciare nella povertà e, sotto il profilo antropologico, nello spirito di sacrificio e nel desiderio di affermazione con qualche dose di furbizia. Spinto a far fortuna e a divenire un nuovo ricco, l’emigrante orobico sceglie come meta preferita Venezia, specie dopo l’annessione del suo territorio alla serenissima. Per secoli i bergamaschi costituiscono una colonia di prim’ordine e si inseriscono nel tessuto commerciale e produttivo. Nel corso del ‘600 molti orobici, trapiantati in Laguna e là arricchitisi, acquistano il patriziato veneto: dietro l’esborso di 100 mila ducati entrano nel corpo aristocratico lagunare. La spossante guerra sui mari che vede impegnata la serenissima fra il 1646 e il 1717 induce il governo marciano ad aprire il Libro d’oro e i bergamaschi trapiantati a Venia sono i più zelanti nel chiedere l’ammissione al patriziato lagunare. Le punte più alte dell’aggregazione si verificano a ridosso delle lotte contro i Turchi. Sono 128 famiglie ascritte al patriziato e i bergamaschi rappresentano quasi un quarto del totale. Nel nucleo orobico prevalgono i mercanti, in buona parte self made men. Alcune famiglie hanno successo, ma l’operazione non comporta per i più ricadute positive: sia pure forti economicamente, i bergamaschi non riescono a emergere sul piano politico, né su quello sociale. L’exploit registrato nel secondo ‘600 rimane comunque un unicum nella storia.
Da Cazzano al cuore della finanza milanese: l’ascesa imprenditoriale di Antonio Greppi
ANGELO MOIOLI

Da Cazzano al cuore della finanza milanese: l’ascesa imprenditoriale di Antonio Greppi




Nella manifattura e nel commercio dei tessili si formano alcuni grandi imprenditori bergamaschi cresciuti nella gestione dell’impresa familiare: è il caso di Antonio Greppi da Cazzago. La sua azienda è stata riconosciuta come uno dei principali esempi di grande impresa mercantile e il suo creatore come uno dei più eminenti finanzieri della Lombardia austriaca. La sua educazione lo vede impegnato a trattare l’acquisto di lana greggia con i suoi corrispondenti alla fiera di Foggia, a controllarne la lavorazione nei vari paesi della Val Gandino e infine a curare la vendita delle pannine presso le fiere di Bergamo e di Crema. Protagonista di una fortunata carriera, Antonio Greppi impara a gestire tutte le fasi del ciclo produttivo e commerciale, mettendo a frutto le tecniche e la capacità organizzative dell’area gandinese, uno dei principali poli lanieri dell’Italia settentrionale. Il successo economico conseguito permette all’imprenditore bergamasco di entrare nella comunità finanziaria milanese e di allargare il suo raggio d’azione, così da stringere i contatti, e affari, con operatori economici attivi in più stati. Dall’altra parte il prestigio personale gli apre le porte della vita politica e sociale milanese., mentre la sua mentalità aperta e spregiudicata al servizio della finanza asburgica gli procura la riconoscenza di Maria Teresa e di suo figlio, oltre al conferimento di diverse onorificenze.
Intellettuali, città e governo: le Accademie tra Chiesa e aristocrazia
MARCO BIANCHINI

Intellettuali, città e governo: le Accademie tra Chiesa e aristocrazia




Centri di erudizione e di ricerca, nel Settecento le Accademie crescono di numero e allargano i loro interessi. A Bergamo arrivano tardi e hanno per lo più una vita breve e faticosa. In molti casi, sin dalla fine del ‘500, i sodalizi accademici nascono dalla volontà dei magistrati inviati in città da Venezia. Nel XVII secolo le aggregazioni di dotti sono riconducibili a tre diverse anime dell’intellettualità e della spiritualità cittadina: il vescovo, gli ordini mendicanti e il patriziato locale, sostenuto dai rappresentanti veneziani. A meta ‘700 il Senato di Venezia prende l’Accademia dei nobili sotto la propria protezione. Nel 1768 la Serenissima chiede per Bergamo la fondazione di un’accademia per migliorare il sistema agricolo: l’anno seguente nasce l’accademia Arvale. La passione per le indagini di storia patria dimostrata dagli accademici bergamaschi è sostenuta dal Consiglio cittadino, sensibile alla raccolta e alla salvaguardia del passato. Tra gli specialisti di ricerche, collazione e trascrizione di documenti si distinguono Mario Lupi, Pier Antonio Serassi e Giambattista Rota. L’abate Giambattista Angelini si interessa dell’aristocrazia locale e subisce l’ostracismo dei nobili, a riprova della rigida gerarchia vigente.
Il processo a Ottavio Trento, cartina di tornasole dei conflitti sociali
CLAUDIO POVOLO

Il processo a Ottavio Trento, cartina di tornasole dei conflitti sociali




E’ il 1793. il magistrato veneziano Ottavio Trento si appresta a lasciare la città di Bergamo e centinaia di persone esprimono la disapprovazione per il suo operato, nel corso di una rumorosa manifestazione, al limite del tumulto. Le accuse mosse al Podestà inviato da Venezia prendono di mira l’intransigenza e la rigidità nell’interpretazione delle regole, che aveva scavalcato i valori e le tradizioni autonomiste della comunità bergamasca. Il processo che ne segue, intentato dal Consiglio dei dieci e affidato alla Corte pretoria di Padova, mette in luce le ragioni del discredito caduto sul giudice veneziano. Nel corso del suo operato l’intervento nell’amministrazione locale gli aveva procurato l’opposizione di un gruppo sociale, formato da avvocati e procuratori, che da secoli facevano da filtro nell’attività giudiziaria nei rapporti con la Serenissima. Nella vicenda processuale emergono i conflitti esistenti tra centri urbani e mondo rurale e, nella città, fra nobiltà e borghesia. Dopo tre secoli e mezzo di dominio veneziano, alla vigilia della caduta della Repubblica di San Marco, contadini e valligiani restano ancorati ai valori della tradizione e al sospetto nei confronti dell’estraneo.

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