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Un Seicento in controtendenza

Campagne, manifatture, comunità orobiche nelle inquietudini del barocco
ALDO DE MADDALENA

Campagne, manifatture, comunità orobiche nelle inquietudini del barocco




I bei saggi riuniti in questo volume si sono proposti di sottolineare tratti caratteristici delle esperienze sociali e più specificatamente economiche snodatesi in terra orobica soprattutto nel corso del Seicento. Un secolo, il XVII, che al pari, e ancor più di quello precedente, è stato duramente posto sotto accusa, fino a pochi decenni or sono, dai seguaci di Clio, in ispecie da quelli imbevuti da spirito irriducibilmente illuministico, voltairiano e dai più giovani studiosi rimasti irrimediabilmente irretiti nelle spire romantiche. Costoro non seppero sottrarsi alla suggestione di considerare i secoli XVI e XVII, il Seicento soprattutto, il periodo più avvilente delle humanae fortunae, il periodo in cui la rassegnazione fu il sentimento prevalente ed inibente che avvolgeva l’esistenza, il triste e solitario rifugio per i tanti che, dimentichi delle audaci imprese compiute dagli antenati rinascimentali, riducevano la speranza a una semplice attesa, stancamente deposta sugli altari d’una religione superficialmente intesa e svogliatamente praticata. Eppure basterebbe leggere le splendide pagine d’un grande storico iberico, purtroppo recentemente scomparso, per commento, della razionale maturazione in età barocca del sistema agricolo bergamasco. Non è dunque un caso se l’autore del riuscito e convincente contributo incluso in questo volume sia stato indotto ad inserire nel titolo del suo saggio una breve, ma oltremodo significativa postilla desunta da memorie dell’epoca: per i sobri e volitivi agricoltori bergamaschi «la terra non fu mai madregna» (matrigna mi viene fatto scrivere usando una ortografia meno arcaica, che tuttavia stinge forse il sapido profumo della parlata locale).
«La terra non fu mai madregna»: crescita ed evoluzione del sistema agrario
GIUSEPPE DE LUCA

«La terra non fu mai madregna»: crescita ed evoluzione del sistema agrario




Sotto la regia dei protagonisti della “corsa alla terra” che caratterizza la Bergamasca a partire dalla seconda metà del ‘500, il sistema agrario della provincia conosce lungo il XVII secolo una crescita produttiva e un’evoluzione strutturale legata in primo luogo ai mutamenti della distribuzione fondiaria e alla sua razionalizzazione organizzativa. Il continuo rialzo dei prezzi delle derrate, iniziato nei primi decenni del XVI secolo in conseguenza dell’aumento demografico, aveva costituito lo stimolo principale per l’avvio di acquisti fondiari. Nobili, ricchi cittadini, élites rurali e borghesie valligiane in ascesa, attenti alla redditività e alla funzionalità dell’investimento terriero, perseguirono l’obiettivo di una maggiore produzione di frumento e di vino, facendo pressione sul fattore più abbondante in quel contesto: il lavoro. Senza seguire i canoni di un progresso agricolo centrato sui grossi impieghi di capitale e sull’integrazione tra cerealicoltura e allevamento, gli aumenti produttivi furono ottenuti intensificando le prestazioni coloniche nei patti mezzadrili, generalizzando l’uso della calcina, diffondendo la rotazione continua con piante da rinnovo, ma soprattutto puntando sul complesso delle lavorazioni del terreno preparatorie alla semina. L’utilizzo delle superfici fu razionalizzato attraverso il completamento della maglia poderale e ai perfezionamenti di processo si aggiunsero, con la diffusione di vitigni più resistenti, del gelso e del mais, anche le innovazioni di prodotto.
Le attività manifatturiere nelle valli bergamasche
DOMENICO SELLA

Le attività manifatturiere nelle valli bergamasche




Le attività manifatturiere nelle vallate bergamasche conobbero nella primissima età moderna un’eccezionale concentrazione di industrie orientate all’esportazione: segnatamente la siderurgia, il lanificio e il setificio. Si trattò di industrie di notevole importanza che nulla avevano da invidiare a quelle ben più note di Milano, Venezia o Firenze, e che, a differenza di quelle delle maggiori città italiane, seppero superare la lunga crisi del Seicento adattando i propri prodotti alla crescente concorrenza estera e alle mutate condizioni del mercato. Questo loro dinamismo va attribuito a tutta una serie di fattori e in particolare al basso costo del lavoro, all’assenza di bardature corporative e altresì ai contatti intensi e ininterrotti che le popolazioni valligiane ebbero con il mondo esterno, grazie all’emigrazione temporanea e alla fiera di S. Alessandro, per secoli uno tra i maggiori luoghi di scambio commerciale in Italia e in Europa. Tuttavia queste condizioni favorevoli non sarebbero state sfruttate appieno senza l’opera di una classe imprenditoriale capace di cogliere le opportunità offerte dal mercato e abile nello stornare, se necessario, professionalità e capitali da settori più tradizionali, ma divenuti meno remunerativi, a settori più promettenti, combinando, di conserva, nel modo più economico i fattori di produzione.
Il lanificio bergamasco nel XVII secolo: lavoro, consumi e mercati
WALTER PANCIERA

Il lanificio bergamasco nel XVII secolo: lavoro, consumi e mercati




Il settore laniero del Bergamasco si fondava nel Seicento su di una struttura assai flessibile. La base era costituita da forme di pluriattività, alle quali le famiglie contadine delle valli erano costrette a ricorrere per garantirsi la sussistenza. Su questa base poggiava la rete del commercio, sia locale che internazionale. Il modello dominante era quello dell’azienda familiare, che si sobbarcava tutte le fasi di lavorazione delle pezze. Della tintura e della rifinitura si facevano invece carico i mercanti, che acquistavano il tessuto direttamente dalle famiglie. A un livello più alto si collocava l’industria a domicilio, organizzata e diretta dai mercanti, fondata sul lavoro stagionale e che s’agglomerava attorno ai centri lanieri più importanti come Gandino e Vertova. Le ditte della città di Bergamo reperivano manodopera in un’area molto più ampia, anche nello stesso stato di Milano. La produzione laniera del Bergamasco, alla fine del secolo, risultava quantitativamente la più importante della Terraferma veneziana e forse d’Italia. La difficile congiuntura seicentesca venne brillantemente superata grazie a una pronta riconversione su un nuovo tipo di tessuto – la drapperia leggera di origine fiamminga – e imitando molti altri generi tipici. Ma all’inizio del Settecento, la comparsa di nuovi concorrenti e il mutare della moda resero difficile la posizione dei locali lanifici, soprattutto della città.
Innovazioni tecnologiche e strategie di mercato: il setificio fra XVII e XVIII secolo
CARLO PONI

Innovazioni tecnologiche e strategie di mercato: il setificio fra XVII e XVIII secolo




Il saggio affronta le innovazioni tecnologiche e istituzionali legate al setificio. Grande attenzione è riservata all’importanza assunta da questo settore nella sua fase espansiva, quando furono costruiti, fra il 1664 e il 1685 oltre 20 mulini da seta del tipo “alla bolognese”, che sono già il sistema di fabbrica con un anticipo di almeno due secoli rispetto ai cotton mill della Rivoluzione industriale in Inghilterra. Lo straordinario e rapido successo dei filati di Bergamo (fondato sull’integrazione del sistema di fabbrica con l’industria a domicilio e con l’artigianato) è favorito dal Consiglio della città, gestito dai ceti nobiliari di diversa origine, che concede con larghezza cadute d’acqua urbane a buon mercato per dare movimento alle ruote idrauliche dei mulini da seta (filatoi). Alla base del trend espansivo c’è la formazione di un audace e innovativo ceto imprenditoriale che diventa rapidamente ricco e potente, modificando tradizionali equilibri sociali. Di qui il sorgere di una certa ostilità dei nobili e dei cittadini originari, che siedono in Consiglio comunale, contro gli imprenditori e i mercanti di seta, fino alla rottura causata dall’aumento del prezzo delle cadute d’acqua. Verso la fine del XVII secolo, l’economia di Bergamo – soprattutto il setificio – entra in una fase di crisi recessiva che si prolungherà nei decenni successivi.
L'attività siderurgica nel territorio bergamasco in età moderna
ANDREA COLLI

L'attività siderurgica nel territorio bergamasco in età moderna




La lunga parabola seguita dalla siderurgia bergamasca a partire dalla metà del XVII secolo è la storia di un declino, la cui conclusione è la pressoché totale scomparsa di tale genere d’attività manifatturiera all’aprirsi dell’Ottocento. La decadenza, compiutasi apparentemente senza resistenze nel corso di oltre tre secoli, non afferisce però solamente all’incapacità di seguire l’evoluzione dei mercati e di innovare un consolidato paradigma tecnologico e produttivo che si era per il passato dimostrato internazionalmente valido; infatti, accanto a ciò, pesanti responsabilità ricadono su elementi più direttamente attinenti al rapporto con le istituzioni politiche di governo del territorio, a livello locale e centrale. Alla confusione in termini politico-economici che ne risulta, si aggiunge una perdurante “inerzia” imprenditoriale, una sorta di incapacità ad abbandonare consolidati sistemi gestionali per avviare iniziative più ambiziose soprattutto in relazione ai nuovi investimenti e alla penetrazione dei mercati. In tale panorama non è sufficiente a risollevare le sorti del comparto neppure il carattere particolarmente sofisticato del capitale umano che dalle valli orobiche si sparge per tutta Europa: anzi, nel lungo periodo, incapace di evolvere e modernizzarsi, finisce per rivelarsi anch’esso un freno al complessivo rinnovamento del settore.
Fiscalità e congiuntura in città e nel territorio (1630-1715)
LUCIANO PEZZOLO

Fiscalità e congiuntura in città e nel territorio (1630-1715)




La crisi demografica causata dall’elevata mortalità legata all’epidemia pestilenziale dei primi decenni del ‘600 non mancò di sortire effetti anche sul piano finanziario: il morbo falcidiò i contribuenti limitando drasticamente il gettito fiscale complessivo, a causa anche dell’asfissia in cui versavano le attività che sostenevano i dazi e le gabelle. Di contro, il coinvolgimento di Venezia nelle ricorrenti crisi politiche e militari che insanguinarono l’Europa seicentesca – culminato nel 1645 con lo sbarco turco sull’isola di Candia – causò un sensibile inasprimento del prelievo tributario sia nella capitale che nella Terraferma, preoccupante soprattutto in relazione alla difficile congiuntura economica. Nei decenni centrali del Seicento la politica fiscale attuata dal gruppo dirigente veneziano si rivolse quindi verso un deciso incremento del carico contributivo, causando una forte tensione fiscale tra le esigenze della Dominante che necessitava di risorse finanziarie per sostenere la macchina militare e le legittime resistenze dei contribuenti vessati dal prelievo crescente. A questa indubbia situazione di instabilità politica e sociale si aggiunse lo spinoso problema – peraltro ovunque avvertito, dalla Spagna alla Francia, dai territori dell’Impero all’Italia meridionale – del progressivo e preoccupante indebitamento delle comunità locali che rivestivano un imprescindibile ruolo di collaborazione nei meccanismi di riscossione tributaria dalla periferia verso il centro.
Pauperismo e carità pubblica a Bergamo in età moderna
MAURIZIO PEGRARI

Pauperismo e carità pubblica a Bergamo in età moderna




La società d’antico regime è, nella sostanza, una società di poveri e di marginali. Pur nella difficoltà di giungere a una loro corretta quantificazione, è tuttavia possibile ricostruire i percorsi mentali che hanno prodotto una definizione di povertà e di marginalità e che hanno portato a considerare la condizione di povero pericolosa per l’intera società. Le leggi sui poveri, infatti, sono la spia della percezione negativa di questa condizione che attraversa tutta l’Europa. In tutte le città europee – e Bergamo è tra queste – il pauperismo è affrontato con il mezzo più tradizionale: la carità, pubblica e privata, che si esprime anche attraverso i luoghi pii e gli ospedali, fino a giungere alle diverse forme di internamento coatto. Questo contributo ripercorre le tappe degli interventi destinati a dare risposte soddisfacenti alle masse bisognose, ma si interroga anche sulla consistenza del network caritativo-assistenziale e sulle finalità ultime, che vanno ben al di là della pur necessaria opera di carità e assistenza. La città di Bergamo, infatti, presenta una forte struttura di istituzioni caritative pubbliche e private, che pur attraverso le inevitabili trasformazioni sono giunte sino ai nostri giorni. Valga, per tutte, la Misericordia cittadina, la cui diffusa presenza nel tessuto sociale urbano e rurale può essere seguita durante un arco di oltre tre secoli.

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