Home> Pubblicazioni>Storia Economica e Sociale di Bergamo>Volume 5 - Tradizione e modernizzazione

Tradizione e modernizzazione

Tradizione e modernizzazione
VERA ZAMAGNI E SERGIO ZANINELLI

Tradizione e modernizzazione




I processi di industrializzazione studiati a livello locale trovano nelle società che vi si identificano, sempre a livello di ambiti territoriali e culturali ben definiti, un riferimento fondamentale per comprendere meglio, nel dettaglio e nella loro peculiarità, i fattori, i meccanismi, le modalità e gli esiti delle trasformazioni che in essi si manifestano in un determinato periodo storico. Detto forse in modo più esplicito, i mutamenti strutturali, gli andamenti dei principali aggregati - da quello demografico a quello relativo alle produzioni e agli scambi - le politiche economiche e sociali, la diffusione delle innovazioni tecniche, restano un insieme di aspetti di una realtà complessa e talvolta contraddittoria, che risulta non adeguatamente spiegata anche nel caso in cui si può procedere alla quantificazione dei fenomeni studiati, perché affonda in vicende che hanno altrove, e in genere ben più a monte e in profondità, elementi di spiegazione da ricondurre a unità. Nel tracciare le linee del volume della Storia economica e sociale di Bergamo dedicato all’età contemporanea dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi anni Cinquanta del Novecento, è stato quindi necessario esaminare, accanto all’evoluzione della struttura produttiva - agricoltura, industria, e servizi principali - e della popolazione, anche le politiche economiche ed assistenziali realizzate a livello locale e le principali vicende delle organizzazioni sociali, il tutto distribuito su tre tomi per la complessità e varietà del materiale raccolto. Mutamenti strutturali, andamenti degli aggregati, politiche e innovazioni sono tutti in ogni caso riferibili a quel soggetto storico che è la società, cioè una collettività di uomini con le loro convenienze particolari, con le loro culture, con i loro rapporti sociali formali e informali, con le loro strutture di potere e i loro modi di tenere insieme il tessuto sociale: e proprio l’illustrazione della società bergamasca nelle sue varie sfaccettature è il centro unificante dei numerosi contributi raccolti nei tre tomi.
L’agricoltura (1870-1945)
GIANLUIGI DELLA VALENTINA

L’agricoltura (1870-1945)




Nella seconda metà dell’Ottocento si chiuse il ciclo della storia dell’agricoltura bergamasca apertosi due secoli prima, nel tardo Seicento, quando l’avanzata del granoturco e della gelsibachicoltura aveva orientato il sistema colturale verso nuove direzioni. Tramontò allora quell’«agricoltura manifatturiera» che aveva raccordato i settori primario e secondario mediante una stretta interdipendenza verticale fra zootecnia, lana e industria laniera, da un lato, gelsicoltura, allevamento del baco, seta e manifattura serica, dall’altro. L’interdipendenza aveva abituato i possidenti, che si muovevano tra attività agricole, commerci e intraprese industriali, a dirottare parte dei loro capitali dai sicuri lidi della rendita fondiaria verso il più rischioso terreno del profitto. L’abitudine all’investimento ne aveva atteggiato la mentalità in senso capitalistico con un certo anticipo, così come le decine di migliaia di donne occupate sia nei lavori campestri, sia al telaio o in filanda, introdussero nelle famiglie contadine elementi di una nuova cultura, non più esclusivamente rurale. Il tramonto del precedente ordinamento colturale procedette lentamente,senza la ricerca di nuove specializzazioni, privilegiando un indirizzo cerealicolo-zootecnico compatibile con il dominante assetto mezzadrile che sino al secondo dopoguerra trattenne nelle campagne una parte cospicua della popolazione, pur in presenza di una incisiva industrializzazione. La motorizzazione penetrò a fatica nelle campagne, rallentando la modernizzazione dell’agricoltura, già mortificata dal debole peso della grande azienda e dal dirottamento del reinvestimento all’esterno del settore primario.
Demografia, migrazioni e società
AROLDO BUTTARELLI

Demografia, migrazioni e società




La storia demografica della provincia di Bergamo tra la fine dell’Ottocento e i primi anni Sessanta del Novecento è in gran parte dominata dalla fase che gli studiosi definiscono di «transizione», cioè di passaggio tra un regime demografico «classico», caratterizzato da alti quozienti di natalità e di mortalità, a uno in cui queste due componenti si abbassano notevolmente, fino a raggiungere i minimi storici. Tale passaggio si dimostra lento e faticoso: per decenni infatti il numero dei nati e dei morti, soprattutto in tenera età, si mantenne sempre elevato. Se è vero che la dinamica naturale rappresenta il «motore» dello sviluppo demografico della provincia, non si possono trascurare i rapporti complessi che essa intrattiene con una altrettanto vivace dinamica migratoria. Lo studio dei flussi di popolazione in entrata e in uscita fa emergere un sistema di mobilità molto complesso, legato indissolubilmente alle diverse fasi della congiuntura economica e sociale. All’interno di questo quadro variegato si colloca il fenomeno dell’emigrazione verso l’estero. Volendo prescindere dai riflessi diretti sulla struttura demografica della popolazione, che pure non mancarono, tale fenomeno si pone come una delle principali chiavi di lettura della storia economica, sociale e culturale della provincia bergamasca.
Le istituzioni del sociale dall’Unità agli anni Trenta
EDOARDO BRESSAN

Le istituzioni del sociale dall’Unità agli anni Trenta




Il controllo dello stato sulle istituzioni sociali, elemento centrale sia della legislazione napoleonica sia di quella lombardo-veneta, non fu in realtà disgiunto da un coinvolgimento della classe dirigente locale. Momento essenziale di questo raccordo fu l’organizzazione dei soccorsi e dei ricoveri, affidata a organismi collegiali permanenti o straordinari in cui era significativamente rappresentato il notabilato locale. E il ruolo di quest’ultimo non potè che diventare più importante con la nuova legislazione dello stato unitario, che concedeva una larga autonomia alle opere pie e demandava l’intervento pubblico agli enti locali. I nuovi assetti sarebbero rimasti inalterati sino agli anni Settanta di questo secolo: gli interventi successivi, dalla riforma crispina del 1890 alla creazione degli Enti comunali di assistenza del 1937, non mutarono gli equilibri. Alla fine del secolo si affermarono inoltre nel dibattito sulle istituzioni sociali le forze di un movimento cattolico ormai arrivato sulla scena amministrativa e politica. Il regime fascista, più tardi, incise in maniera limitata sulla gestione degli enti assistenziali, per passare solo successivamente a un tentativo di «fascistizzazione» dagli esiti piuttosto limitati. La trasformazione sociale trovò sempre nelle élites cittadine una mediazione adeguata agli interessi e ai problemi locali.
L’attività delle organizzazioni dei lavoratori dalle origini al secondo dopoguerra
PAOLO TEDESCHI

L’attività delle organizzazioni dei lavoratori dalle origini al secondo dopoguerra




Le prime organizzazioni sindacali bergamasche furono le leghe di resistenza, sorte nell’ultimo decennio dell’Ottocento in concomitanza con i primi scioperi degi operai che chiedevano sostanziali miglioramenti delle condizioni di lavoro. A queste seguirono istituzioni più organizzate come la Camera del lavoro, di matrice socialista, e le Unioni professionali cattoliche, che allargarono il movimento sindacale al mondo contadino. Tuttavia esse non riuscirono per tutto il periodo prebellico ad ottenere sostanziali incrementi retributivi e riduzioni degli orari di lavoro perché proprietari agrari e industriali sfruttarono sia la rivalità fra i due movimenti sindacali, sia le divisioni interne alle singole organizzazioni. Solo nel «biennio rosso» i sindacati ottennero le otto ore e parziali aumenti salariali, ma si trattò di una breve parentesi, perché dopo la scissione dal sindacato cattolico e l’avvento del fascismo la situazione tornò a livelli prebellici. Le forti divisioni fra «bianchi» e «rossi» sulle strategie d’azione e sugli obiettivi da raggiungere sarebbero rimaste quasi inalterate anche nel secondo dopoguerra.
L’associazionismo imprenditoriale tra crisi agraria e prima guerra mondiale
CLAUDIO BESANA

L’associazionismo imprenditoriale tra crisi agraria e prima guerra mondiale




La struttura industriale del Bergamasco fu protagonista, negli anni della «grande depressione» europea, di un’importante fase di modernizzazione. Al cambiamento economico fece riscontro l’accentuarsi della conflittualità sociale e il primo apparire di forme di autotutela del lavoro. In tale contesto, tuttavia, gli imprenditori continuarono ad affidare la difesa dei loro interessi alla Camera di commercio. La situazione si venne modificando nel corso dell’età giolittiana, quando anche nel Bergamasco si registrò un deciso rafforzamento della struttura industriale. Lo sviluppo produttivo, l’incremento e la mutata composizione della forza lavoro portarono, dopo il 1906, a un aumento delle vertenze fra maestranza e imprenditori, ma soprattutto al consolidarsi di forme strutturate di rappresentanza e tutela del lavoro, in maggioranza di matrice cattolica. Alla Camera di commercio si affiancarono due nuove forme di rappresentanza degli interessi imprenditoriali, come la Federazione bergamasca dell’industria tessile creata nel 1907. Iniziava così una nuova fase nei rapporti tra imprenditori e operai, caratterizzata dall’azione delle organizzazioni collettive.
Élites e patrimoni in città (1862-1915)
STEFANIA LICINI

Élites e patrimoni in città (1862-1915)




A quanto ammontava la ricchezza dei bergamaschi nella seconda metà del XIX secolo? Essi erano più ricchi o più poveri degli abitanti di altri centri urbani nazionali? Nei loro patrimoni prevalevano terre, case e palazzi o azioni, titoli pubblici e obbligazioni, crediti e merci o gioielli e carrozze? Quali e quanti individui, in città, avevano il privilegio di disporre di risorse in eccesso rispetto al soddisfacimento dei bisogni essenziali? Come erano state accumulate le fortune che essi producevano? Quali erano i loro orientamenti e le loro propensioni in campo sociale, religioso, culturale ed economico? Eventuali caratteri distintivi di un élite urbana ottocentesca ed entità, distribuzione e composizione della ricchezza personale dei cittadini sono, in sintesi, i temi in discussione nelle pagine che seguono. Il riferimento cronologico prescelto è il lungo cinquantennio che corre dall’unificazione alla prima guerra mondiale, quello geografico è il comune di Bergamo secondo i confini sanciti nel 1927. La documentazione d’archivio che ha consentito l’impostazione della ricerca è una fonte primaria particolarmente adatta ad affrontare le questioni sopra richiamate: le dichiarazioni di successione post-mortem. Si tratta di documenti di origine fiscale, sinora poco utilizzati dagli studiosi del nostro paese e solo di recente divenuti accessibili anche a Bergamo, dove sono conservati presso il locale Ufficio del Registro.

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