Lungo il filo della storia

Per riannodare il filo della storia
STEFANIA LICINI

Per riannodare il filo della storia



Il volume dà conto delle plurisecolari vicende della manifattura tessile in provincia di Bergamo. Per un arco temporale che si aggira attorno ai mille anni, la produzione, e la commercializzazione, di filati, tessuti, capi di abbigliamento e accessori ha scandito, in quest’area dell’Italia settentrionale, la vita di migliaia di individui e delle loro famiglie, ha sollecitato le attività di ricerca e di formazione, ha contribuito a disegnare il paesaggio e le relazioni sociali, ha consentito e sostenuto un costante processo di interazione della “regione” con il più ampio contesto europeo e mondiale. Di volta in volta, fibre animali, vegetali e artificiali sono entrate nelle lavorazioni effettuate in botteghe e abitazioni rurali, in opifici meccanizzati, in grandi e piccole fabbriche dominate dall’automazione. Nelle varie scansioni cronologiche, l’attività tessile si è dispiegata prevalentemente in città, nelle valli o in pianura, sino a toccare, negli anni recenti, aree remote, site ben al di là dei confini della Provincia. Del mutare nel tempo delle localizzazioni manifatturiere e delle ragioni che nelle diverse fasi della storia le determinarono, si occupa specificamente il saggio di Gianluigi Della Valentina. Il lavoro, che ha una prospettiva diacronica ed è per questo collocato nella parte finale dell’opera, si fonda sull’evidenza che le caratteristiche idrografiche del territorio furono determinanti nel condizionare il percorso evolutivo dell’industria tessile. Persino l’apparente penuria di risorse idriche naturali, tipica del capoluogo che vi pose rimedio con certosine adduzioni artificiali – scrive Della Valentina – si è rivelata nei secoli quale elemento ambientale capace di esercitare forti condizionamenti sulle attività manifatturiere urbane. Bergamo fu in passato cuore non solo mercantile, ma anche produttivo della manifattura tessile: la tessitura della lana, la fabbricazione di pregiati organzini di seta, i primi esperimenti di meccanizzazione del cotone, la produzione di biancheria e vestiario di volta in volta vi si insediarono, disegnando e caratterizzando profondamente il tessuto urbano. Borgo Santa Caterina, Borgo San Leonardo, Borgo Sant’Antonio, Borgo Pignolo e Borgo Canale cadenzarono la propria crescita edilizia, demografica, economica e sociale attorno a telai, filatoi e tintorie di lana, seta, lino e cotone. A progettare e sostenere l’edificio manifatturiero del capoluogo – precisa Della Valentina – contribuì, da un lato, il reticolo delle rogge, dall’altro, la maglia delle direttrici viarie convergenti dalla montagna, dalla collina e dalla pianura.
La manifattura tessile bergamasca dalle origini all’età Napoleonica
GEOFFREY J. PIZZORNI

La manifattura tessile bergamasca dalle origini all’età Napoleonica



Obiettivo di questo breve saggio è quello di ripercorrere le principali vicende dell’industria tessile bergamasca dalle sue lontane origini fino all’inizio del XIX secolo. Le prime testimonianze certe relative alla realizzazione di tessuti di lana risalgono all’XI secolo, ma fu a partire da quello successivo che questo genere di manifattura conobbe un rapido sviluppo, grazie anche alla domanda proveniente dai maggiori centri dell’Italia Settentrionale e non solo. Già nel 1200, quindi, la produzione di panni di lana era diventata, insieme a quella mineraria e metallurgica, la più importante attività economica del territorio orobico. Un primato che veniva alimentato dal lavoro sia di un discreto numero di produttori, abitanti a Bergamo e negli immediati dintorni, sia da quello di centinaia di famiglie residenti nelle Valli prealpine. Vero e proprio vanto era il cosiddetto “panno di Bergamo”, che tra XIII e XV secolo divenne il prodotto simbolo della manifattura laniera orobica. È tra il ’300 e ’400 che la manifattura realizzata nelle Valli – tra le quali spiccava per importanza quella della Val Seriana – finiva per assumere un ruolo preponderante rispetto a quella prodotta allora dentro e attorno le mura di Bergamo. Filare e tessere la lana, infatti, rappresentava già allora una valida opportunità per aumentare le magre entrate familiari, specie in quella porzione di provincia dove l’agricoltura era ben lontana dal garantire un’adeguata sussistenza. Contemporaneamente, anche i mercati di sbocco crescevano, finendo per comprendere, oltre a quelli tradizionali, diverse destinazioni del Centro e dell’Est Europa, come anche piazze dell’Italia centrale e meridionale. A guidare quest’espansione commerciale, un ceto mercantile nel quale il “peso” degli imprenditori residenti nel capoluogo iniziava a diminuire a favore di nuove figure attive nelle Valli. Fino alla metà del Cinquecento, tranne la lavorazione di lino e cotone legata però soltanto all’autoconsumo, il tessile bergamasco era costituito dal solo lanificio. Ma proprio a partire da quel momento, con un certo ritardo rispetto ad altre aree lombarde, prese avvio l’attività serica. Lo sviluppo della gelsibachicoltura, della trattura e della filatura, ovvero i tre momenti chiave del processo produttivo, venne fin da subito fortemente sostenuto dal crescere della domanda internazionale di seta tratta e filata in grande ascesa. Bergamo e il suo territorio finiranno, infatti, per specializzarsi nella produzione di questi semilavorati, mentre un ruolo assai minore avrà la realizzazione di drappi di seta.
L’Ottocento: il secolo della seta e del cotone
GEOFFREY J. PIZZORNI

La manifattura tessile bergamasca dalle origini all’età Napoleonica



Ripercorrere la storia della manifattura tessile dell’Ottocento a Bergamo e sua provincia significa entrare negli elementi costitutivi, sia a livello strettamente economico sia sociale, culturale e politico, nella storia della società orobica tout court. Nell’arco di pochi anni si insediò una nuova borghesia con ingenti capitali che coinvolse già sul finire dell’Ottocento, e poi in modo sempre più massiccio nel corso del Novecento, altri settori produttivi e finanziari. Facendo passare le notifiche prodotte dal “Registro generale delle notificazioni dei commercianti e negozianti arti e commercio della regia città e provincia di Bergamo” dal 1849 al 1911, emerge chiaramente non solo la centralità del settore tessile nel sistema economico provinciale, ma anche la sua capacità di essere motore dell’intera economia orobica1. Scorrendo i principali operatori economici tessili troviamo, ad esempio, i commercianti e bachicoltori Frizzoni attivi in società per la lavorazione del cemento (Società in accomandita semplice Ing. Alessandri e C.) e in numerose imprese immobiliari, nonché nella amministrazione di Casse rurali e di attività economiche a sfondo sociale; gli Steiner, filandieri e commercianti, erano soci nella Società Anonima Cementi e Calci di Valle Brembana e nella Società Anonima Electra (produzione di macchine da scrivere), nonché in attività minerarie; i commercianti in sete Fuzier nella Banca Mutua Popolare di Bergamo; i cotonieri Reich, oltre alla partecipazione nella predetta Banca, li troviamo anche in attività legate all’aeronautica come la Società Airone e la Ind. Spec.ta Strumenti Aeronavigazione; gli industriali cotonieri Albini, invece, diversificavano la propria attività partecipando a società legate alla produzione di energia elettrica, nella “Dr. Piero Piccinelli e C.” per la produzione del gres, nonché nella Banca industriale di Bergamo; quest’ultima, nel suo breve arco di vita (1926-1939) vedrà la partecipazione di numerosi imprenditori tessili, tra i quali il commerciante e bachicoltore Ambiveri e il cotoniero Tschudi. Numerosi, inoltre, gli imprenditori tessili impegnati nella costruzione delle ferrovie e delle autostrade: nella Società Anonima Ferrovia Valle Seriana troviamo l’industriale cotoniero Oscar Honegger e con lui praticamente tutte le aziende cotoniere; nella Società Anonima per la Ferrovia Elettrica di Valle Brembana i cotonieri Albini e Crespi e i setaioli Fuzier, Frizzoni e Steiner; nella società per la costruzione dell’Autostrada Bergamo- Milano troviamo, tra gli altri, gli industriali cotonieri Riccardo Albini per la “Società Industrie Riunite di filati”, Silvio Crespi, Giulio Güttinger e Maurizio Reich.
Il Novecento: il sistema moda e le sfide della globalizzazione
STEFANO COFINI

Il Novecento: il sistema moda e le sfide della globalizzazione



Bergamo, 11 ottobre 1907. Nella sede del Circolo Commerciale, Agricolo e Industriale diciannove imprenditori costituiscono la Federazione Bergamasca Industrie Tessili. È la nascita dell’associazionismo industriale della provincia destinato, per successivi ampliamenti, ad accogliere tutti gli altri settori manifatturieri e a trasformarsi, dopo le Corporazioni, nell’Unione degli Industriali e ultimamente in Confindustria Bergamo1. Tessili erano state le imprese che avevano avviato la prima industrializzazione della provincia; quasi inevitabilmente sono gli imprenditori di questo settore a fondare la prima associazione “contemporanea” del sistema economico provinciale. Sono solo diciannove imprese ma hanno circa 16,5 mila dipendenti2. Nei successivi due anni si associanoaltre cinque imprese e i dipendenti complessivi superano di poco le 19 mila unità3. È il tessile che conta perché sono queste le imprese più grandi, tanto che nessuna ha meno di 200 operai e rappresentano le attività e i luoghi storici del tessile bergamasco. E il tessile conta molto: al censimento del 19114, gli esercizi sono l’8,5% del totale e gli addetti quasi due terzi degli occupati del secondario; con il vestiario e le pelli si raggiungono percentuali – rispettivamente del 24,0% delle imprese e del 69,2% dell’occupazione – che dimostrano come la filiera tessile-abbigliamento-accessori è assolutamente dominante nell’economia provinciale. Iniziare con il 1907 un saggio sulla storia recente e sull’attualità del tessile bergamasco non si fonda solo sull’accidente che è passato esattamente un secolo da quell’anno, ma trova giustificazione nel fatto che la fondazione della Federazione Bergamasca Industrie Tessili segna l’affermazione di una nuova borghesia nata dalla rivoluzione industriale della seconda metà dell’Ottocento, destinata a guidare lo sviluppo economico della provincia per un lungo periodo, nonostante due guerre mondiali, il fascismo, il boom economico e, infine, la recente costruzione di uno spazio economico globale. È una nuova borghesia molto internazionalizzata, tanto che oltre la metà dei dipendenti delle imprese fondatrici ha capitale straniero, si pone sulla frontiera tecnologica con alto fabbisogno d’investimenti, infine àncora il profitto alla produttività. Non sono solo investitori che colgono l’opportunità di insediarsi in un paese dal basso costo del lavoro con molta manodopera disponibile; sono imprenditori che intendono cogliere le opportunità del nascente mercato italiano e si dispongono nel baricentro dell’area più ricca di prospettive.
La localizzazione dell’industria tessile. Territorio e imprese
GIANLUIGI DELLA VALENTINA

La localizzazione dell’industria tessile. Territorio e imprese



A condizionare le decisioni degli imprenditori in merito alla localizzazione territoriale delle rispettive imprese sono fattori di natura sia fisico- ambientale, sia economico-sociale, il cui ruolo assume valenze storicamente mutevoli; persino la peculiare posizione geografica di un sito è un dato dal valore non assoluto, ma relativo. Le coordinate spaziali che definiscono ogni insediamento produttivo offrono opportunità e insieme condizionano con i loro limiti e vincoli, la cui intensità e il cui carattere tendono a cambiare nel corso del tempo. Una simile considerazione sul divenire dei fattori ecologico-naturali, oltre che di quelli antropici ovviamente, vale sulla piccola scala territoriale, ossia in riferimento al contesto micro-economico in cui opera ogni unità produttiva, così come per gli ambiti a scala più ampia che coincidono con gli spazi entro i quali sono racchiusi gli stati e gli enti territoriali locali, con i rispettivi sistemi macro-economici. Quello della posizione all’interno di una maglia territoriale è un rapporto biunivoco, ragione per cui la collocazione spaziale di ciascun sito scelto per insediarvi attività economiche funge da agente-agita sul piano delle relazioni materiali, così come nelle strategie politiche delle diplomazie e, al tempo stesso, quale percipiens-percepta nell’immaginario collettivo, come pure nell’orizzonte mentale dei soggetti economici e dei singoli individui coinvolti. «Ogni paese è [anche] la sua geografia»1; ogni società si struttura e definisce i propri tratti culturali a partire dal rapporto con il territorio all’interno del quale costruisce la sua storia, mentre il territorio reca in sé i segni materiali e culturali di questa interazione. Qualcosa di analogo, quantunque secondo forme proprie, accade alle imprese. Potremmo, dunque, parlare di un sincretismo dei sistemi naturali e sociali, tale per cui in ogni contesto spaziale, storicamente definito, ogni fattore ambientale si connota in un modo specifico a seconda dei peculiari caratteri antropici del contesto stesso e viceversa.

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